Ogni mattina arrivare al lavoro
era diventata una vera impresa, una corsa contro il tempo per incastrare tutto:
preparare la colazione, vestire i
bambini, accompagnarli a scuola, correre al lavoro, in tempo.
Il suono della sveglia la faceva
soffrire più del solito, si sentiva sempre più stanca e l’idea di andare a chiudersi
in quell’ufficio a smaltire quella massa di scartoffie stava diventando sempre
più insopportabile.
Il tragitto fino all’ufficio
prevedeva un percorso obbligato con diversi semafori e, più era in ritardo, più
erano rossi.
Anche quel giorno arrivò al
solito semaforo vicino ai giardini e avvicinandosi vide il verde diventare
giallo, inutile tentare di passare, si fermò rassegnata, tanto ormai era in
ritardo, ancora una volta.
Guardò alla sua destra, sul
marciapiede in prossimità del semaforo c’era un ragazzo, lo guardò mentre
appoggiava a terra in un angolo un piccolo borsone nero e cominciava a
prepararsi, il ragazzo si arrotolò le maniche della camicia, indossò un gilet e
prese dal borsone tre birilli di plastica. Lo riconobbe era il giocoliere che
aveva notato per la sua bravura il giorno precedente, a quello stesso
semaforo, mentre procedeva in senso
inverso per il rientro a casa.
Lo aveva notato per la sua bravura
e per quella sua bellezza acerba da ventenne. Gli aveva dato un euro e lui
aveva ricambiato con un sorriso. Era stata una giornata di lavoro piuttosto
pesante e quel sorriso le aveva reso più leggera la serata.
Pensò che era una buona
iniziativa inventarsi un lavoro in un periodo di crisi economica come quello
che stavano attraversando. Lo osservò con attenzione e pensò che avrebbe potuto
fare il modello, aveva una bellezza sorprendente e inconsapevole.
Il suono di un clacson le segnalò
che il semaforo era verde, doveva ripartire e a malincuore lo fece.
Non seppe ben spiegarsi perché
nel corso della giornata il pensiero era più volte andato a quel semaforo e al
suo giovane giocoliere.
Da allora ogni giorno rientrando
a casa sperava di trovare il semaforo rosso e di trovarsi abbastanza vicino
all’incrocio in modo da poterlo osservare indisturbata per quella frazione di
secondo e, dargli un euro in cambio di un sorriso.
Suo marito avrebbe pensato che
era pazza e i suoi figli avrebbero riso di lei, se l’avessero saputo, ma lei
aveva bisogno di quel sorriso per affrontare meglio le sue giornate incastrate
in quel groviglio di doveri in cui si sentiva soffocare.
Aveva bisogno di quel sorriso per
ricordare un ragazzo di vent’anni di un tempo lontano, un tempo in cui i suoi
sogni, per un breve indecifrabile attimo, avevano cercato di avverarsi.